
Caro Presidente,
scrivo a lei, e attraverso lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione ma carico di speranza umana e civile per questo nostro paese.
Io amo la vita, Presidente.
Vita è la donna che ti ama,
il vento tra i capelli,
il sole sul viso,
la passeggiata notturna con un amico.
Vita è anche la donna che ti lascia,
una giornata di pioggia,
l'amico che ti delude.
Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso.
Morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita: è solo un testardo ed insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche.
Sua santità, benedetto XVI, ha detto che "di fronte alla pretesa, che spesso affiora, di eliminare la sofferenza, ricorrendo perfino all'eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale".
Ma che cosa c'è di naturale in una sala di rianimazione?
Che cosa c'è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine?
Che cosa c'è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l'aria nei polmoni?
Che cosa c'è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l'ausilio di respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale, morte-artificialmente-rimandata?
Il mio sogno, anche come co-presidente dell'Associazione che porta il nome di Luca, la mia volontà, la mia richiesta che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle politiche e giudiziarie, è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere l'eutanasia.
Vorrei che anche ai cittadini italiani sia data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi, olandesi.
Piergiorgio Welby
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